lunedì 24 novembre 2008

Istante per istante...

L'acqua continuava a scorrere sul bordo della strada, formando un piccolo torrente dalla forma curiosa e tipica dettata dalle asperità del terreno. Aveva appena piovuto in modo esagerato ed improvviso, cogliendo tutti di sorpresa. L'acqua che scorre, quando non crea danno, suscita una piacevole sensazione di vitalità e di cambiamento, di evoluzione delle cose.
Marco era rimasto qualche istante ad osservarla, quasi incantato, riparato dentro l'androne di un portone, per distrarsi un istante dalle sue faccende. Trovava piacevole soprattutto vedere come la pioggia in breve tempo aveva cambiato l'aspetto di quel luogo cittadino, facendolo assomigliare improvvisamente e magicamente ad un viottolo di campagna. A volte le cose sono così statiche da annoiarci, e quando siamo stanchi di vederle così, sembra che solo andando in altri luoghi possiamo ritrovare nuovi stimoli. In quel caso invece era stato il tempo, che cambiando umore per seguire le sue leggi e i suoi modi, aveva offerto un nuovo scenario a chi era capace di fermarsi ad osservare.
Alcuni bambini giocavano a nascondino con la pioggia, affacciandosi per qualche istante da sotto un balcone per bagnarsi un poco e subito ripararsi, ridendo di gioia per la piacevole sensazione del bagnarsi e del sentirsi liberi. Marco si ricordò di avere avuto esperienze simili a quelle, durante la sua infanzia, e tutto questo aumentava la curiosità ed il piacere del rimanere lì ad osservare.
Tutto scorreva in modo semplice e naturale, e Marco si stupiva nel pensare a come di solito, nel passato, era stato così impegnato nel fare le cose serie ed importanti della vita, come studiare, lavorare, costruire una posizione sociale, guadagnare, occuparsi degli altri. Ora no, non si sentiva più così indaffarato, e si rendeva conto che da tempo la sua vita era cambiata, e che non sentiva niente di particolare che lui dovesse raggiungere, se non vivere istante per istante.
Era come se da qualche tempo avesse avuto una guarigione del suo cuore, e le cose per lui fossero molto cambiate. Il suo stato d'animo si era pian piano trasformato, fino a dimenticare del tutto ciò che un tempo era per lui di primaria importanza. Il cambiamento era stato così dolce e graduale, che ora si ritrovava ad osservare il suo nuovo modo di essere come se questo avesse trovato posto nella sua vita senza che lui avesso dovuto fare uno sforzo per accoglierlo.
La pioggia aveva diminuito la sua intnsità, e così il ruscello. Meno male, perchè la pioggia era stata molto intensa e non avrebbe potuto essere accolta senza qualche problema se fossa continuata a scendere così intensa. Per fortuna le cose della natura spesso sono benevole, e portano evoluzioni che risultano alla fine positive. Ma tutto questo rischia di passare inosservato, fino a quando incominciamo quasi per caso, a sentire il richiamo di qualcosa che, in modo sottile, vibra dentro, stimolandoci ad una pausa più profonda, che ci incoraggia quindi al desiderio di percepire vibrazioni ancora più sottili e tenui. Sono le vibrazioni sottili dell'anima, che dentro di noi giace in un luogo di pace, e dove più nessuna idea di distruzione riesce a fare accesso. E' il luogo del nostro spirito, dove possiamo ricevere la consolazione dalle nostre angosce. Il quel luogo, dopo esserci avvicinati, sentiamo di voler tornare, e qualche volta lasciamo che sia il caso a ricondurci li. Altre volte, decidiamo di prenderci cura di noi e della nostra vita, e scegliamo di metterci noi stessi nella condizioni di ritornarci. Il più spesso possibile, tanto quanto ne abbiamo bisogno.
Puoi chiamare questo meditare, o puoi anche dargli un altro nome. Non è importante che etichetta gli metti. L'importante e che tu abbia compreso a quale esperienza ti sto invitando.
Con affetto, Enrico.

sabato 22 novembre 2008

Il grano e la zizzania.

Il seminatore sparge il seme buono dentro di noi: siamo capaci di iniziare opere buone. Durante la notte il nemico sparge i semi di un’erba maligna dentro di noi: siamo capaci di perdere il controllo del nostro buon proposito e di vivere la nostra negatività.
E’ il momento in cui ci scandalizziamo, e nel tentativo di estirpare l’erba cattiva dentro di noi estirpiamo il nostro grano: siamo capaci di interrompere la nostra opera.

Lascia crescere sia il grano che l’erba. Sarà il Padre Celeste nella sua bontà a prendere te con le tue opere buone alla fine della tua vita, gettando via il male che c’è in te.

PROSEGUI NEL TUO CAMMINO SENZA SCADALIZZARTI DI TE STESSO NEANCHE QUANDO MANIFESTERAI IL TUO LIMITE.
ACCETTATI IN PROFONDITA’ E CONTINUA A VIVERE IL TUO PROGETTO.

Con affetto, Enrico.

La vigilia di natale.

Cammino tra la folla la sera del 24 dicembre nella via Garibaldi a Cagliari, notoriamente luogo di shopping nella mia città, che per il natale diventa se possibile ancora più la meta di frenetiche galoppate verso l’acquisto dei più svariati oggetti da possedere o regalare. A volte sogno di assistere alla più grande crisi economica della storia, che costringa le persone a fermarsi, ma poi penso che troppe persone cadrebbero in un doloroso disastro emotivo, eccessivo per le loro vite impreparate a ritrovare se stesse, e la compassione mi fa cambiare desiderio. Penso alla mia infanzia fatta di lunghissimi tempi passati nei negozi dove i miei genitori cercavano di fornirci di un grande quantitativo di benessere materiale, facendo a me personalmente sperimentare la più grande pena della mia vita. Cammino tra la folla insieme alla mia figlia Monica, da poco rientrata da Milano dove studia, per trascorrere le vacanze natalizie, e mentre cammino un po’ sto con lei ed un pò rimango assorto nei miei pensieri mentre osservo le persone ed i luoghi. Era da qualche mese che desideravo comperare l’ultimo libro di P. Laurence, "Gesù, maestro interiore", e volutamente ritardavo l’acquisto, nell’attesa di un momento più adatto per leggerlo. Da diversi anni mi piace trascorrere i periodi di riposo in tranquillità, accompagnato dalla lettura di qualche libro sulla meditazione o sulla ricerca spirituale, ed ora di nuovo finalmente è arrivato uno di quei periodi dell’anno adatti a questo scopo. Questa personale abitudine scaturita spontaneamente dal mio profondo è uno dei pochi “luoghi” che sento veramente mio, a volte confuso e sommerso da una grande quantità di altri “luoghi” non miei e che ho difficoltà ad eliminare. Penso al vero sé ed ai falsi sé che caratterizzano la mia vita. Ringrazio me stesso e la pratica della meditazione che mi ha condotto verso un mio personale centro, anche se ancora troppo confuso tra tutti gli aspetti di me che senza saperlo ho dovuto trapiantare nel mio essere per soddisfare le aspettative di altri, principalmente dei miei genitori, che hanno favorito dentro me la creazione di distorte e violente immagini di realtà.
Cammino nella via Garibaldi mentre tra le mani delicatamente stringo il libro appena acquistato, che tengo come un prezioso tesoro, pensando che potrò nei prossimi giorni leggerlo con calma, assorbendo i vissuti delle preziose esperienze di P. Laurence, che avendo frequentato in numerosi ritiri, mi sembra di sentire più come un amico che un maestro. Mentre cammino scorgo quasi per caso la figura di una persona che ho conosciuto tempo prima per amicizie comuni in non so quale circostanza. E’ una persona ipovedente. A vederlo sembra più cieco che ipovedente, con gli occhi visibilmente alterati dalla sua malattia. Cammina da solo con passo tranquillo ma sicuro, con la testa leggermente girata da un lato, per la necessità di intravedere qualcosa con la parte di vista rimasta. Mi ricordo che mi aveva raccontato che gli è rimasto solo un frammento di campo visivo, con il quale riesce a percepire pur confusamente delle immagini sfuocate, come delle ombre. Sfrutta quel frammento di campo visivo per muoversi. Si capisce che procede cercando di evitare il contatto con le persone che incrocia nella folla, avvertendo la loro presenza dalle ombre. Questa esperienza mi riporta ai miei pensieri, e stimola in me una riflessione sul significato della nostra vita terrena. Mi viene da pensare che tutti noi, quando senza porre attenzione proseguiamo in modo automatico verso il soddisfacimento di desideri di sicurezza materiale vissuti in modo automatico, siamo i veri ciechi. Fin dalla nascita il bambino ricerca la possibilità di sopravvivere che non possiede con tutta l’energia che ha, avvantaggiato normalmente dal fatto che i nostri cari a modo loro ci amano e tengono alla nostra presenza. L’istinto ci tira verso questo egoistico ma naturale bisogno, che per fortuna cresce insieme ad un altrettanto naturale desiderio di trascendenza, che ci stimola ad una più o meno consapevole ricerca di crescita spirituale. Tutto procede spesso per lunghissimi anni, fino a quando non capita qualcosa, un evento, che ci costringe a rivedere la nostra posizione.
Quando abbiamo l’occasione di un problema fisico, come la persona ipovedente di cui parlavo, non possiamo più procedere in automatico. O ci fermiamo atterriti nel nostro vittimismo che ci porta a pensare che non è giusto ciò che ci capita, o iniziamo a vivere con un’estrema attenzione in ciò che facciamo. Siamo costretti ad incominciare a fare molta più attenzione a noi stessi ed agli altri. Siamo costretti a percepire in un modo nuovo la vita ed il mondo. Penso che sia il caso della persona di cui sto parlando, che mentre diventa cieca comincia a vedere più chiaramente la verità della propria essenza, e del significato della sua vita. Sceglie di proseguire il cammino della propria vita facendo una continua attenzione a ciò che fa, senza potersi distrarre.
E’ da questa continua distrazione in cui siamo immersi che abbiamo bisogno di uscire, per potere riprendere a percepire noi stessi nel profondo. Abbiamo bisogno di abbandonare la paura del disastro materiale per potere percepire più chiaramente che non siamo nulla, se ci allontaniamo da colui che solo può darci il senso della nostra vita. Abbiamo forse il bisogno di entrare nel disastro per non averne più paura. Dentro questo disastro incominciamo a conoscere aspetti di noi stessi rimasti per lunghissimi anni in ombra. Sono le nostre zone d’ombra, luoghi che abbiamo paura di conoscere per il timore di non potere resistere al dolore. Ma poi capiamo che il dolore è solo un infantile paura di non potere soddisfare il nostro bisogno di sopravvivere. E’ una paura ingenua: dopo essere nati per grazia di qualcun altro, ci attacchiamo eccessivamente ad una vita nostra in un corpo che è solo in prestito. Confondiamo il vestito con l’anima che muove quel vestito. Ci preoccupiamo eccessivamente per il nostro corpo perché è la cosa che ci caratterizza, e quella che più facilmente abbiamo la possibilità di percepire. Dimentichiamo di essere alla presenza di colui che ci ha creati, e che non dimentica mai, neanche per un solo istante, che ci siamo.
E’ interessante vedere come abbiamo bisogno di una difficoltà cronica per potere incominciare a ritrovare noi stessi, rimasti a lungo smarriti e distratti dal fatto di essere riusciti a trovare pieno soddisfacimento dei nostri bisogni di sopravvivenza.
Ho voglia di dire basta, basta! Voglio giocarmi tutta la mia vita nella continua ricerca di Dio. Nella ricerca di me stesso, della parte più profonda del mio essere. Lo so, questo comporta ulteriori distacchi, forse ancora più grandi di quelli che ho già vissuto, ma è l’unica strada che oramai per me abbia un senso. Mi rendo conto che ho appena iniziato a fare la mia vita, e che per gran parte del tempo non riesco ancora a farla. Mi piacerebbe compiere questo cambiamento come conseguenza di una saggia consapevolezza, più che per drastici ridimensionamenti che a volte io, in modo poco compassionevole, auguro ad altri.
Signore, tante volte ho detto sono tuo, ed ho invocato la Vergine Maria per essere aiutato o per ringraziarla. Mi sento pronto ad essere. E allo stesso tempo so di non sapere ciò che sto chiedendo. Ma è proprio questa la consapevolezza più grande, la coscienza di non sapere cosa chiedere, la consapevolezza d’essere cieco. Ma Tu, mentre mi fermo nel bordo del silenzio della meditazione, con gemiti inesprimibili del tuo Santo Sprito, me lo sussurrerai. Mi farai capire ciò di cui ho veramente bisogno.

La religiosità della vita.

Un uomo cammina frettolosamente per le vie della città, immerso nei suoi pensieri e preoccupazioni per i tanti impegni della giornata. Attraversando una piazza affollata ad un certo punto si lascia attrarre da una fontana, e ispirato dal desiderio di calma, si lascia andare e si siede. Mentre passano i minuti si accorge di quanta calma può trovare dentro di sé, e osserva gli altri con piacevole distacco mentre corrono indaffarati, come se nulla più potesse travolgerlo. Il suo respiro diventa lento e profondo, i suoi muscoli lentamente si rilassano, e i pensieri cominciano a fluire in modo più regolare. Comprende che nulla dei vari impegni della giornata è più importante di quel momento di contatto con la sua consapevolezza del presente, quel presente che è sempre accanto a lui, e che spesso distrattamente non vede.

Un uomo primitivo camminando nella foresta, arrivata la sera si trova di fronte al meraviglioso spettacolo del tramonto, con i suoi colori e forme, e ispirato da tanta bellezza e grandezza, istintivamente si inginocchia, e si china in avanti, per farsi accarezzare da quel tramonto specchio dell’immensità, così come un bambino si accovaccia per gustarsi le carezze della mamma.

Una donna in conflitto con il marito, durante una accesa discussione diventa consapevole della sacralità di quella relazione, e di colpo smette di analizzare con eccessiva puntigliosità i problemi. Si ferma con lui per comprenderlo ed ascoltarlo, creando una situazione di intimità di cui lei stessa si nutre.

Un atleta corre nella sera lungo un viale alberato, e mentre corre all’improvviso girato l’angolo vede di fronte a lui appena sopra la montagna una enorme luna piena color arancio, che maestosa si staglia nello sfondo di quel scenario naturale. Pur preoccupato di rispettare le tabelle di marcia del suo allenamento programmato, improvvisamente desidera fermarsi per osservare tanta meraviglia della natura, consapevole che qualcosa di molto più grande di lui nel creato lo avvolge e lo conduce.

Un bambino incompreso nelle sue richieste dal padre, si rende conto della importanza che hanno per lui le sue richieste, ma comprende che in quel momento continuare a insistere non servirebbe a portare avanti i suoi bisogni. Decide di non rinunciate a portare avanti i suoi bisogni, ma sceglie di trovare con calma un muovo modo e un nuovo momento per promuoverli.

Un religioso cammina verso la cappella per trovare silenzio e profondità. Mentre medita, abbandona tutti i pensieri e le preoccupazioni. Quando il confratello comincia a leggere le scritture, ascolta con piena attenzione quelle parole sacre, nella certezza di sentire e capire il messaggio essenziale che il Padre celeste desidera comunicare con la sua rivelazione.

Un padre di famiglia si trova in difficoltà perché si rende conto che le richieste aumentano, e il suo tempo libero si restringe sempre più. Tentato di disinteressarsi dei problemi che incombono, si rende conto all’improvviso che la sua stessa realizzazione passa attraverso la dedizione amorevole delle necessità della moglie e dei figli. Di colpo realizza che non c’è niente di più importante per lui che stare con loro per pianificare insieme le soluzioni ai vari problemi. Un senso di calma e soddisfazione lo pervade nel vedere i loro volti gioiosi mentre lui dona loro ciò che nessun altro potrebbe dare loro nello stesso modo.

Un giovane desideroso di cambiare radicalmente la sua vita, si blocca per il timore di soccombere nel suo difficile tentativo. All’improvviso, mentre sta immerso nel silenzio della stanza in un pomeriggio autunnale, la speranza lo cattura, e come illuminato dalla consapevolezza della importanza della sua vita, decide di assecondare il suo progetto interiore, e fatta la valigia, parte per la sua meta con quel poco che ha.

Un sacerdote in crisi vocazionale, ferito nel profondo perché tutti i suoi propositi umani non hanno trovato realizzazione e compimento, accetta di rimanere lì, nel suo nulla, per fede nell’amore universale ed incondizionato di Dio.

Semplici flash di vita quotidiana, dove la consapevolezza spirituale emerge nel cuore e nella mente di ciascuno di noi.

Quanto siamo capaci di lasciare emergere la consapevolezza del nostro essere nel momento presente, ogni volta che compiamo un rito religioso?
E quanto lo facciamo in ogni atto della nostra vita?
Che cosa rende sacro il mio quotidiano?
Cerco la sacralità della vita nelle cose semplici del mio presente?
Riesco a trovare la presenza di Dio nei piccoli gesti?
Mi sento confortato dalla consapevolezza della presenza continua dello Spirito nella mia vita?
Sono capace di andare al di là del mio timore di essere giudicato nel momento in cui realizzerò il mio progetto?
A che punto sto con la mia crescita interiore?

Per chi è interessato è possibile partecipare ad un incontro di meditazione. Per informazioni: Enrico Loria 070.504.604 – 360.914953 –

centro.poiesis@tiscali.it
www.centropoiesis.it

Corpo e spirito.

Meditare per trovare una vita interiore, per sperimentare una dimensione diversa da quella che la coscienza razionale ci consente. Andare al di là della propria conoscenza, per immergersi nello spirito che costantemente soffia dentro di noi, e che passando dentro di noi trabocca dal nostro essere. Vivere una vita contemplativa, per riscoprire il significato profondo della nostra esistenza. Ritornare alla vita attiva quotidiana come esseri profondamente rinnovati, capaci di capire, di vedere, di sentire ciò che più conta nella nostra vita.
Meditare per prendersi cura di sé, per compiere il cammino per il quale siamo stati creati. Meditare per scoprire perché il nostro corpo è così importante. Conoscere il motivo per il quale il nostro corpo ci è stato donato, e quanto preziosa sia la nostra vita, ogni minuto della nostra esistenza.

Forse ti sei chiesto quale sia il mistero racchiuso nella tua presenza terrena, e forse non hai trovato una risposta chiara a questo interrogativo. Può darsi che tu abbia pensato che non valeva la pena vivere, nei momenti difficili della tua vita, o semplicemente hai pensato che tutto sommato morire poteva essere una liberazione. Se lo hai fatto, è perché evidentemente hai realizzato che la tua vita, come quella degli altri, è immersa in una realtà di sofferenza. Non hai più potuto nasconderti che la civiltà che viviamo è di basso livello, e che non riusciamo a scampare dalle vicissitudini terrene. Magari hai poi trovato il modo di ingannarti, nascondendoti subito dopo la sopraggiunta consapevolezza, cercando di gratificarti come potevi. Hai cercato di dimenticare. Penso di capirti.

Prova a pensare che il tuo corpo, così come tu lo hai adesso, qualsiasi sia il livello di salute o di malattia che vivi, è stato creato per darti un’opportunità di crescita interiore. I tuoi organi, il funzionamento del tuo organismo nel complesso, sono strumenti ed occasione di crescita spirituale. Ogni parte del tuo corpo racchiude in sé un significato profondo. Ogni parte del tuo corpo è collegata ad aspetti profondi del tuo sé. Ascoltare e capire il tuo corpo è una occasione per capire qualcosa del tuo cammino terreno. Ogni minuto che vivi, è un momento di potenziale crescita, qualsiasi sia il tuo stato di coscienza. Un embrione che si forma dentro il ventre materno, che nasce e vive qualche minuto, ha già compiuto un passaggio che può essere fondamentale verso il definitivo incontro con l’assoluto. Una persona compromessa nelle sue funzioni mentali per una grave malattia, magari in coma, sta compiendo un cammino spirituale che può essere di importanza fondamentale rispetto allo scopo per cui è stata creata. Una malattia che sopraggiunge nella nostra vita, è venuta a “farci da sponda” rispetto al desiderio conscio o inconscio che si compia in noi la potenza dello spirito di Dio. Capire il significato di quel sintomo e cogliere i frutti di tale comprensione diventa quindi preziosissimo fattore di crescita interiore.

Per potere capire ed accettare tutto questo è necessario che tu sia già arrivato ad immergerti dentro la nube che della non conoscenza che ti separa da Dio; è necessario che abbia avuto l’occasione di poter sperimentare la dimensione contemplativa dell’ascolto di Dio. Se non hai ancora vissuto questo, inizia a meditare per qualche minuto al giorno, e trova un piccolo gruppo di persone con cui condividere la tua esperienza di meditazione. Non è possibile infatti potere spiegare le cose che hai letto in questa pagina. Puoi solo ritrovarle vere se tu stesso hai fatto l’esperienza di meditazione profonda.
Non posso aggiungere altro che non sia inutile rispetto al desiderio che ho per te che tu possa trovare la tua strada interiore, perché anche tu possa fare l’esperienza di pace ed amore incondizionato che si trova andando al di là di qualsiasi conoscenza, di qualsiasi convinzione. Puoi crederlo o no, ma in questo momento provo un grande amore per te. Ti auguro ogni bene.

Cammino lungo la riva del mare.

Cammino lungo la riva del mare, così come da alcuni anni mi piace fare. Mi piace perché riesco a camminare e meditare. Cammino e medito dentro di me: ”Signore Gesù, abbi pietà di me, Signore Gesù, abbi pietà di noi”.
Cammino lungo la riva del mare, e mentre medito mi guardo intorno: vedo le persone che stanno intorno a me. Anche per loro dico dentro me: ”Signore Gesù, abbi pietà di noi”. Ogni tanto incontro qualcuno, ed è sempre un piacere parlare con loro. Quando li saluto per andar via, rincomincio a meditare: “Signore Gesù, abbi pietà di me”.
Cammino lungo la riva del mare, e mentre cammino e medito, rimango incuriosito dal mare. Rimango incuriosito perché lo vedo infinito ed inconoscibile nella sua profondità. Mi ricorda Dio, davvero infinito ed inconoscibile nella Sua profondità. Vedo la superficie, e so che la mia conoscenza del mare non si può limitare a ciò che vedo. E’ forse per questo che mi piace meditare, perché è come una immersione profonda, con le bombole di ossigeno. Si conoscono cose che non possono essere viste da chi rimane a guardare la superficie.
Continuo a camminare lungo la riva del mare, e mentre cammino e medito, guardo la terra al mio fianco, così come la sento sotto i miei piedi, che mi sorregge. Sento, avverto il contatto che mi procura nel camminare. Faccio attenzione a questo contatto mentre respiro e medito, mentre dico dentro di me: “Signore Gesù, abbi pietà di me”. So che anche la terra è così vasta e impenetrabile da rimanere in gran parte inconoscibile, nella sua ricchezza e varietà.
Mentre continuo a camminare e meditare mi accorgo del cielo sopra di me, che con gli sprazzi di nuvole diventa più percepibile nella sua infinitezza. Ricordo che da bambino mi colpiva guardare il cielo, quando il sole della sera cominciava a dipigere le nuvole di rosa. Il cielo, che dà continuità alla mia vita che scorre, e mi ricorda dell’amore di Dio, stabile nel tempo. E’ forse per questo che lo guardo al mattino quando inizio la giornata. Guardo e ascolto. Ascolto i rumori attorno a me, del mare, delle persone, le voci, ed i rumori che vengono da lontano, di una macchina, di un aereo.
Continuo a camminare lungo la riva del mare, e sento che è davvero bello continuare a farlo. Percepisco dentro me, in un colpo solo, la presenza di cielo, terra, mare, persone e Dio dentro me. Sento i rumori ed i suoni, mi nutro del contatto della terra sotto i piedi, cerco di percepirlo il più intensamente possibile. Sento l’aria che scorre attorno a me. Allargo un po’ le braccia e le dita delle mani per sentirla ancora di più, come una carezza che il vento regala al mio corpo. Sento di avere davvero bisogno di carezze. Mi nutre continuare a dire dentro me: “Signore Gesù, abbi pietà di me”.
Il mare con le sue onde, accarezza i miei piedi e li rinfresca, dando refrigerio anche al resto del corpo. E’ davvero bello continuare a camminare lungo la riva del mare.
Qualche volta ho incontrato anche te, caro amico, mentre meditavo e camminavo, sulla riva del mare. Ogni volta è un piacere rivederti. Ricordo della nostra amicizia nata nelle tante esperienze passate insieme ai tempi dell’università. Anche a te, come alle altre persone che incontro, non ho detto che stavo meditando, che stavo pensando a Dio mentre camminavo. Eppure so che con te potevo farlo, che avresti capito, e condiviso. Sento che anche tu hai attraversato il deserto, ed hai trovato il campo fertile dove fare germogliare il tuo seme. So che anche tu hai scoperto la presenza di Dio dentro di te. Ricordo della mia e della tua sofferenza, vissuta con discrezione, con dignità. La stessa discrezione ci accompagna, nel modo delicato di porci rispetto alle questioni importanti. Nel nostro dialogo. Ricordo quanto è stato importante il nostro incontro: da quel momento è cambiato qualcosa nella nostra vita.
Cammino lungo la riva del mare, e mi accorgo di essere arrivato molto lontano, passo dopo passo. Mi fermo per qualche istante, respiro più profondamente, continuo a ripetere dentro me: “Signore Gesù, abbi pietà di me peccatore”.
Sono davvero arrivato molto lontano. Mi volto indietro e rivedo quel bambino che ero. Ricordo di avere avuto paura di andare avanti, di avere pensato di non farcela. Ed invece sono qui: ce l’ho fatta. Ricordo di avere invocato il Tuo aiuto Signore, tante volte, così come adesso. Ho chiamato tua mamma, Maria, madre di tutti gli uomini, madre anche mia. E lei mi ha sempre ascoltato ed aiutato. Ecco come sono arrivato fino a qui. Mi guardo intorno, e vedo quanti doni mi ritrovo! Mi concedo il tempo per ringraziarti o Signore, prima di continuare a camminare lungo la riva del mare.
Forse quando ti rincontro caro amico, questa volta te lo dico che stavo pensando a nostro Padre. Perché anche tu possa viverlo insieme a me, e forse fare la stessa mia scelta. Anche tu come me porti dentro il tuo cuore il ricordo, l’esperienza di averlo avuto vicino a te, tante volte. E questo ricordo rimane dentro il tuo cuore, così come nel mio. La tua gioia di bambino rimane dentro il tuo corpo adulto, cosi come i momenti passati insieme a lui.
Rincomincio a camminare lungo la riva del mare, continuando a ripetere: “Signore Gesù, abbi pietà di noi”. Respiro, cammino, e continuo a sentire Te dentro me, mio Signore, come un viaggio con un tragitto ignoto, ed una fine certa. Il paradiso.
Anche lì so che c’è una riva del mare, dove potere continuare a camminare, per incontrare tutte le persone che abbiamo perso. Le abbiamo perse perché sono andate nella loro riva del mare, per camminare, ed incontrare. Per crescere ed arrivare, là dove Tu vuoi che andiamo, per trovare Te. E’ bello pensare di incontrarle una ad una, per potere finalmente dirsi tutto ciò che non si è ancora detto. Per potere sentirsi davvero uniti, nel profondo, così come non è mai stato.
Ma ora mi voglio fermare per ascoltare, per rileggere le parole che ho scritto, e continuare a sentire ciò che sento. Anche tu se vuoi, rileggi queste righe tante e tante volte, finchè avrai capito ciò che hai bisogno di capire, finchè avrai sentito ciò che hai bisogno di sentire dentro il tuo cuore.
E dopo avere letto vai anche tu sulla riva del mare, e fai attenzione al contatto che il camminare ti procura; fai attenzione al tuo respiro, e ripeti dentro il tuo cuore: “Signore Gesù, abbi pietà di me”.

Aiutiamo Gesù a ritornare.

Sento la gioia del mattino del nuovo giorno, nel nuovo anno che comincia. Inaspettatamente mi sono svegliato presto, ed ho voglia di riprendere a vivere immergendomi nella vita concreta. Non avvertivo così chiaro questo desiderio da anni. Ho attraversato una fase di cambiamento profondo.
E’ oramai chiaro per me che l’unica cosa che veramente conti sia la vicinanza a te, Signore. Ti trovo nell’esperienza concreta della vita quotidiana, dopo averti trovato nel silenzio della meditazione.
Ma come posso pensare che tu ritorni? Se tu tornassi ora, dove potresti trovare il tuo posto?
Se tu tornassi nella chiesa che hai fondato, saresti il fratello di una parte dell’umanità e quindi non saresti il Cristo. Lo stesso vale se tu tornassi in un’altra chiesa. Se tu tornassi al di fuori di tutte le chiese, dovresti ripetere l’esperienza che hai già fatto, iniziare daccapo. Tra duemila anni forse ci ritroveremo al punto di oggi. Non ha senso. Ti sei già rivelato. Ora spetta a noi mettere in pratica il tuo messaggio.
E’ incredibile, ma mi rendo conto che nonostante il cammino dell’umanità, ancora non siamo pronti al tuo ritorno. Essere uniti nella comune umanità in Cristo. Essere uno con l’altro.
Come posso pensare allora che tu ritorni? Penso e ripenso alle parole di padre Thomas Matus OSB: un cristiano, un induista, un mussulmano quando pregano lo fanno in un modo molto diverso tra loro. I loro riti sono diversi così come le loro culture e tradizioni. Ma quando meditano, quando s’immergono nell’esperienza di Dio dentro sé, arrivano nello stesso luogo.
Quando arrivano all’esperienza della contemplazione, in quel “luogo” fanno qualcosa che li rende profondamente uguali, profondamente uniti. Lo Spirito che li anima è lo stesso, perché sono immersi al di là della nube della non conoscenza. Sono profondamente immersi nel luogo dove non esistono differenze, dove non esiste contrasto. Essere uno con il divino amore è l’esperienza definitiva, perché essere in Dio significa essere dove non possiamo essere ne migliori ne peggiori.
Il mondo della religione è il luogo della conoscenza, che può essere vissuta con la mente e con il cuore, e che ci può rendere il cammino di crescita spirituale più umanamente chiaro. Sono felice di avere la mia pratica religiosa, senza la quale non avrei saputo come iniziare il cammino. Con la mia religione posso arrivare al desiderio spirituale della vicinanza a Dio. Il cammino nel sentiero spirituale diventa intricato e complicato dalla mia umanità, i miei vissuti psicologici, e dalle difficoltà della vita concreta che continuamente mi distraggono da me stesso. Ed allora solo fermandomi ad ascoltare la parte più profonda di me, solo coltivando la mia vita interiore, avendo cura di proteggerla dalle distrazioni della vita quotidiana, solo così posso veramente incontrarti Signore.
Allora penso che perché tu possa tornare, abbiamo da compiere quel che tu hai proposto: amarci l’un l’altro. Essere uno con l’altro, così come è in paradiso.
Il paradiso è il luogo dove si vive in un modo che corrisponde esattamente a ciò che dentro me stesso più desidero, ed è il luogo che corrisponde esattamente a ciò che più desidera l’altro. Io e l’altro siamo profondamente uniti.
Per arrivare a questo è necessario che l’Io sia integrato nel Vero Sé. Il vero sé, la parte più profonda di noi stessi, che continuamente ci attira a sé, anche quando non la ascoltiamo.
Solo allora potrai tornare, per condividere con noi il tuo amore altruistico e disinteressato. Per vivere con noi ciò che tu hai rivelato.