sabato 22 novembre 2008

La vigilia di natale.

Cammino tra la folla la sera del 24 dicembre nella via Garibaldi a Cagliari, notoriamente luogo di shopping nella mia città, che per il natale diventa se possibile ancora più la meta di frenetiche galoppate verso l’acquisto dei più svariati oggetti da possedere o regalare. A volte sogno di assistere alla più grande crisi economica della storia, che costringa le persone a fermarsi, ma poi penso che troppe persone cadrebbero in un doloroso disastro emotivo, eccessivo per le loro vite impreparate a ritrovare se stesse, e la compassione mi fa cambiare desiderio. Penso alla mia infanzia fatta di lunghissimi tempi passati nei negozi dove i miei genitori cercavano di fornirci di un grande quantitativo di benessere materiale, facendo a me personalmente sperimentare la più grande pena della mia vita. Cammino tra la folla insieme alla mia figlia Monica, da poco rientrata da Milano dove studia, per trascorrere le vacanze natalizie, e mentre cammino un po’ sto con lei ed un pò rimango assorto nei miei pensieri mentre osservo le persone ed i luoghi. Era da qualche mese che desideravo comperare l’ultimo libro di P. Laurence, "Gesù, maestro interiore", e volutamente ritardavo l’acquisto, nell’attesa di un momento più adatto per leggerlo. Da diversi anni mi piace trascorrere i periodi di riposo in tranquillità, accompagnato dalla lettura di qualche libro sulla meditazione o sulla ricerca spirituale, ed ora di nuovo finalmente è arrivato uno di quei periodi dell’anno adatti a questo scopo. Questa personale abitudine scaturita spontaneamente dal mio profondo è uno dei pochi “luoghi” che sento veramente mio, a volte confuso e sommerso da una grande quantità di altri “luoghi” non miei e che ho difficoltà ad eliminare. Penso al vero sé ed ai falsi sé che caratterizzano la mia vita. Ringrazio me stesso e la pratica della meditazione che mi ha condotto verso un mio personale centro, anche se ancora troppo confuso tra tutti gli aspetti di me che senza saperlo ho dovuto trapiantare nel mio essere per soddisfare le aspettative di altri, principalmente dei miei genitori, che hanno favorito dentro me la creazione di distorte e violente immagini di realtà.
Cammino nella via Garibaldi mentre tra le mani delicatamente stringo il libro appena acquistato, che tengo come un prezioso tesoro, pensando che potrò nei prossimi giorni leggerlo con calma, assorbendo i vissuti delle preziose esperienze di P. Laurence, che avendo frequentato in numerosi ritiri, mi sembra di sentire più come un amico che un maestro. Mentre cammino scorgo quasi per caso la figura di una persona che ho conosciuto tempo prima per amicizie comuni in non so quale circostanza. E’ una persona ipovedente. A vederlo sembra più cieco che ipovedente, con gli occhi visibilmente alterati dalla sua malattia. Cammina da solo con passo tranquillo ma sicuro, con la testa leggermente girata da un lato, per la necessità di intravedere qualcosa con la parte di vista rimasta. Mi ricordo che mi aveva raccontato che gli è rimasto solo un frammento di campo visivo, con il quale riesce a percepire pur confusamente delle immagini sfuocate, come delle ombre. Sfrutta quel frammento di campo visivo per muoversi. Si capisce che procede cercando di evitare il contatto con le persone che incrocia nella folla, avvertendo la loro presenza dalle ombre. Questa esperienza mi riporta ai miei pensieri, e stimola in me una riflessione sul significato della nostra vita terrena. Mi viene da pensare che tutti noi, quando senza porre attenzione proseguiamo in modo automatico verso il soddisfacimento di desideri di sicurezza materiale vissuti in modo automatico, siamo i veri ciechi. Fin dalla nascita il bambino ricerca la possibilità di sopravvivere che non possiede con tutta l’energia che ha, avvantaggiato normalmente dal fatto che i nostri cari a modo loro ci amano e tengono alla nostra presenza. L’istinto ci tira verso questo egoistico ma naturale bisogno, che per fortuna cresce insieme ad un altrettanto naturale desiderio di trascendenza, che ci stimola ad una più o meno consapevole ricerca di crescita spirituale. Tutto procede spesso per lunghissimi anni, fino a quando non capita qualcosa, un evento, che ci costringe a rivedere la nostra posizione.
Quando abbiamo l’occasione di un problema fisico, come la persona ipovedente di cui parlavo, non possiamo più procedere in automatico. O ci fermiamo atterriti nel nostro vittimismo che ci porta a pensare che non è giusto ciò che ci capita, o iniziamo a vivere con un’estrema attenzione in ciò che facciamo. Siamo costretti ad incominciare a fare molta più attenzione a noi stessi ed agli altri. Siamo costretti a percepire in un modo nuovo la vita ed il mondo. Penso che sia il caso della persona di cui sto parlando, che mentre diventa cieca comincia a vedere più chiaramente la verità della propria essenza, e del significato della sua vita. Sceglie di proseguire il cammino della propria vita facendo una continua attenzione a ciò che fa, senza potersi distrarre.
E’ da questa continua distrazione in cui siamo immersi che abbiamo bisogno di uscire, per potere riprendere a percepire noi stessi nel profondo. Abbiamo bisogno di abbandonare la paura del disastro materiale per potere percepire più chiaramente che non siamo nulla, se ci allontaniamo da colui che solo può darci il senso della nostra vita. Abbiamo forse il bisogno di entrare nel disastro per non averne più paura. Dentro questo disastro incominciamo a conoscere aspetti di noi stessi rimasti per lunghissimi anni in ombra. Sono le nostre zone d’ombra, luoghi che abbiamo paura di conoscere per il timore di non potere resistere al dolore. Ma poi capiamo che il dolore è solo un infantile paura di non potere soddisfare il nostro bisogno di sopravvivere. E’ una paura ingenua: dopo essere nati per grazia di qualcun altro, ci attacchiamo eccessivamente ad una vita nostra in un corpo che è solo in prestito. Confondiamo il vestito con l’anima che muove quel vestito. Ci preoccupiamo eccessivamente per il nostro corpo perché è la cosa che ci caratterizza, e quella che più facilmente abbiamo la possibilità di percepire. Dimentichiamo di essere alla presenza di colui che ci ha creati, e che non dimentica mai, neanche per un solo istante, che ci siamo.
E’ interessante vedere come abbiamo bisogno di una difficoltà cronica per potere incominciare a ritrovare noi stessi, rimasti a lungo smarriti e distratti dal fatto di essere riusciti a trovare pieno soddisfacimento dei nostri bisogni di sopravvivenza.
Ho voglia di dire basta, basta! Voglio giocarmi tutta la mia vita nella continua ricerca di Dio. Nella ricerca di me stesso, della parte più profonda del mio essere. Lo so, questo comporta ulteriori distacchi, forse ancora più grandi di quelli che ho già vissuto, ma è l’unica strada che oramai per me abbia un senso. Mi rendo conto che ho appena iniziato a fare la mia vita, e che per gran parte del tempo non riesco ancora a farla. Mi piacerebbe compiere questo cambiamento come conseguenza di una saggia consapevolezza, più che per drastici ridimensionamenti che a volte io, in modo poco compassionevole, auguro ad altri.
Signore, tante volte ho detto sono tuo, ed ho invocato la Vergine Maria per essere aiutato o per ringraziarla. Mi sento pronto ad essere. E allo stesso tempo so di non sapere ciò che sto chiedendo. Ma è proprio questa la consapevolezza più grande, la coscienza di non sapere cosa chiedere, la consapevolezza d’essere cieco. Ma Tu, mentre mi fermo nel bordo del silenzio della meditazione, con gemiti inesprimibili del tuo Santo Sprito, me lo sussurrerai. Mi farai capire ciò di cui ho veramente bisogno.

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