sabato 22 novembre 2008

Perchè non possiamo vedere Dio.

Siamo chiamati a fare scelte definitive.
Fare una scelta definitiva presuppone fare una scelta d’amore. Ovvero, essere talmente convinti di quella scelta che siamo capaci di accettare e superare la frustrazione che deriva da quegli aspetti della scelta che non ci gratificano. Evidentemente, le cose che per noi vanno bene dopo una scelta, ci consentono di andare avanti e ci confermano nella speranza di un buon esito. Al contrario, le difficoltà ci mettono alla prova e ci rendono a volte dubbiosi sull’opportunità di procedere. Fare scelte definitive quindi non è facile.
La partecipazione ad un gruppo sociale di qualsiasi tipo (coppia, famiglia, amici, colleghi, confratelli) comporta attraversare momenti che non ci piacciono, ed allora una possibilità è di chiudersi nella relazione, di andare via, o di non tornare più.
La ricerca che ciascuno di noi fa per “trovare la propria vita” presuppone appunto l’attraversare questi momenti un numero sufficiente di volte che consenta a ciascuno di noi di trovare ciò che sembra essere adatto a noi. E che quindi liberamente è scelto.

Il cammino della vita che ci orienta verso scelte definitive, è un cammino che ci orienta verso scelte d’amore. Questo perché amare qualcuno significa mantenere il proprio atteggiamento di disponibilità, dialogo, apertura, sostegno, richiesta, condivisione, anche quando l’altro compie un’azione che ci ferisce. Dopo che siamo stati feriti, è difficile sia dare ancora, sia chiedere ancora.
Mi riferisco in questo discorso all’amore altruistico ed incondizionato, che si differenzia dall’amore erotico perché in questo secondo caso cerchiamo il reciproco nutrimento, un reciproco gratificarsi, e se diminuisce la gratificazione diminuisce anche il sentimento d’amore. Le scelte d’amore altruistico sono portate avanti anche quando l’altro non ci ricambia. Tutti abbiamo bisogno di vivere quest’amore incondizionato, perché è quello che ci dà la sensazione di “essere tornati a casa”. L’amore incondizionato è l’amore di Dio, che continuamente ci attira a sé. Noi possiamo vivere un analogo amore altruistico se siamo capaci di rimanere in relazione con l’altro anche quando l’altro ci ferisce con le parole, con i gesti, con i comportamenti, o con le omissioni. Porgere l’altra guancia, accettare gli sputi con la faccia come di pietra così come nell’esperienza della passione di Cristo, è il momento cruciale della nostra esperienza terrena, quella che presuppone l’essersi distaccati dalla propria egoistica volontà, quella che comporta la morte di un aspetto del proprio Io, quella che prelude alla rinascita e alla resurrezione del proprio sé più profondo, che è connesso con lo spirito di Dio da cui si nutre.
Tutto ciò può fare spavento. Ma la realtà è che per vedere Dio dobbiamo trovarci nella condizione di avere già fatto una scelta definitiva, una scelta d’amore. Solo dopo che liberamente scegliamo questo, possiamo trovarci nella condizione di incontrare Dio, perché l’incontro con Dio è un incontro definitivo. Non possiamo vedere Dio è poi tornare indietro. Per questo nella vita terrena abbiamo contatti con le manifestazioni di Dio, il suo spirito, il suo figlio, le sue opere e le sue creazioni, capaci di parlarci di Lui, ma non con Dio stesso, che in questa vita terrena, non possiamo per la nostra misera condizione, né vedere né sentire direttamente.
Dio desidera la nostra presenza solo dopo che noi siamo veramente liberi di sceglierlo, ed in questa libertà, in nessun caso abbiamo bisogno di rimettere in dubbio la scelta. Mantenere allo stesso tempo piena libertà, libero arbitrio, e fermezza nella convinzione della scelta fatta. Non possiamo ingannarci né fingere in questo, pur in buona fede, perché la nostra scelta sarebbe solo parziale. Se ci sono parti di noi non ancora setacciate dalle prove della vita, non ancora illuminate dalla grazia di Dio, il nostro cammino di crescita spirituale deve continuare.
Le prove della vita quindi ci mettono in discussione proprio sulla nostra modalità di reazione agli insulti e alle ferite. Quando saremo con Dio saremo nell’assoluto dove non può esistere l’angoscia della prova, ma proprio per questo, per arrivare a Lui dobbiamo avere risolto l’angoscia della scelta.

Rimanendo quindi alle cose concrete, nella partecipazione ad un qualsiasi gruppo umano, siamo sempre in allerta per verificare i pericoli e le difficoltà che la partecipazione al gruppo comporta. Questo da un lato è utile, è sano, perché ci permette di non rimanere più del necessario in situazioni negative, e ci consente di andare via da situazioni oggettivamente persecutorie (quando ciò non abbia una finalità più grande che consapevolmente vogliamo portare avanti). Ma da un altro lato, la tendenza a fuggire dai rapporti e le situazioni sociali che ci feriscono, limita la nostra possibilità di crescita; infatti affrontando le situazioni di difficoltà, possiamo conoscere sempre più a fondo noi stessi, gli altri, il mondo, anche se ciò comporta sofferenza.
La tendenza alla fuga infatti può rimanere anche in situazioni di gruppo accettabili o nomali, e lo stress di questa appartenenza e di questa reciprocità può risvegliare angosce nuove ma anche molto antiche, dato che fin dalla nascita le angosce insorgono e crescono come reazione al disagio che deriva dal fatto che in nessun caso siamo stati così profondamente accuditi, rispecchiati, riconosciuti, così come avremo voluto. Tutti siamo stati fin dalla nascita almeno qualche volta feriti. Portiamo dentro il ricordo di queste ferite come nuclei di cellule che formano organi che funzionano e interagiscono con sempre al centro questa memoria di sofferenza. Quando la sensazione di pericolo insorge dobbiamo tenerne conto, anche se non è utile agirla istintivamente con una fuga. Ci sono gruppi dove proprio per favorire che l’esperienza sia interiorizzata, capita e scelta, e poi proseguita con consapevolezza, si consigliano periodi di lunghezza variabile di vacanza, di distacco, di riavvicinamento, che servono proprio a favorire la serena rivalutazione degli stimoli incamerati.
I gruppi sociali aperti consentono di avvicinarsi e allontanarsi tenendo conto delle necessità personali appena descritte, ma hanno anche il limite di non favorire l’emergere delle eventuali angosce non risolte di appartenenza o di distacco, che sono invece evidenziate nelle relazioni con accordi più strutturati, che presuppongono il prendersi un impegno.
Il pericolo di cui si parla è legato all’insorgenza di disaccordi e diversità di un certo rilievo, su cose di grande importanza per la persona. Nelle interazioni sociali è frequente arrivare a questo punto. Avere un disaccordo vuol dire che le due parti non collimano. Ci sono persone che pensano che la relazione per andare bene deve essere simmetrica, dove gli aspetti dell’uno e dell’altro collimano senza buchi e zone d’ombra. Questo per esempio capita nell’innamoramento dove pur non essendo vero che le due parti collimano perfettamente, si ha l’impressione che questo sia vero, e ciò favorisce l’instaurarsi di un legame nel quale le parti investono molte delle proprie energie. Quando nel tempo si verifica che riemergono le diversità, e nel rapporto si rendono più evidenti le zone d’ombra, allora può succeder che qualcuno pensi che sia arrivata la fine del rapporto, o si pensa di avere sbagliato nella scelta della persona, e una delle scelte possibili è quella di porre fine alla relazione per andare di nuovo alla ricerca della situazione ideale, del compagno mitico, del gruppo perfetto; se chiedi il perché, sentirai le tipiche frasi: “non era l’uomo per me”, “ non era la donna della mia vita”, “non era un vero amico”, “ da un genitore non me lo aspettavo, “non avrei mai creduto di avere un figlio così”. Si vive il dolore della diversità come inaccettabile, e si pensa che per porre fine alla sofferenza sia necessario cambiare l’altro, piuttosto che affrontare un cambiamento di se stessi e della propria capacità di influire sulla realtà esterna con un dialogo rispettoso dell’altro. La scelta che prima poteva sembrare definitiva, non è ora più tale, perché il disagio che si prova sta superando le capacità di sopportazione: “Non ce la faccio più!”.
L’importante è sapere che questa scelta è fra quelle sempre possibili; dire basta è una possibilità che non deve mai mancare, ma è anche vero che esistono alternative. Nel caso poi non fosse così facile mettere fine a quel rapporto, ci si augura perlomeno di essere arrivati ad una prova di crescita, e che non sia invece una situazione favorita dall’incapacità di assumersi la responsabilità di vivere secondo obiettivi sani. E’ il caso delle persone che pur vivendo sistematicamente in una situazione oggettivamente negativa, non prendono in considerazione la possibilità di parlare con qualcuno, o di manifestare l’intenzione di porre fine al disagio a costo di una separazione, svalutando quindi la possibilità di risolvere i problemi.
Ma rispetto al discorso che sto portando avanti, esiste il momento che nel rispetto della fedeltà nella direzione presa, si accetta di affrontare le difficoltà “a muso duro”, accettando gli insulti per trovare un modo di testimoniare in un momento immediatamente successivo la propria volontà d’amore, capace di andare al di là dell’offesa ricevuta. E’ l’occasione per conoscere più a fondo la realtà.
Nelle diverse culture religiose, esiste il periodo di prova, nella quale si accetta di privarsi di alcune soddisfazioni. Il nostro Io è messo alla prova. Allora, se abbiamo dei punti di riferimento possiamo fare venire fuori il conflitto che prelude alla crisi e alla successiva purificazione. Non possiamo purificarci se non facendo emergere il nostro limite. Se ci vergogniamo di manifestarlo, siamo bloccati e rischiamo di rimanere come sepolcri imbiancati. Abbiamo bisogno però dell’energia sufficiente e delle risorse che ci consentano di attraversare la prova; dobbiamo essere pronti, e la preparazione avviene mediante il riconoscimento di noi stessi e dei nostri bisogni, del nostro diritto di esserci e di manifestarci agli altri.
Non sempre però abbiamo intenzione di affrontare tutti questi fastidi, e spesso rimandiamo. Ma non possiamo compiere il processo di crescita senza affrontare la crisi, ed è vero che c’è un processo di crescita nell’affrontare un disaccordo. Potremo chiederci: perché nel disaccordo non posso trovare un modo di stare bene? O ancora, perché io non posso accettare di stare male, visto che ciò mi può aiutare a conoscermi meglio e a capire qualcosa che ora non conosco? Perché devo sempre arrivare a strappare le mie radici per spostarmi dove credo si stia meglio? Pensate all’esempio dell’albero, che nasce lì, e lì rimane per tutta la sua vita, che faccia caldo o freddo, non può spostarsi. Noi invece possiamo spostarci, allontanarci, ritardare, accelerare, abbiamo la grande possibilità di autodeterminarci. Abbiamo la grande opportunità di potere compensare alle diverse intensità degli stimoli. La nostra vita è per questo un bene prezioso proprio perché ci consente delle opportunità che non sarebbero possibili se non avessimo la vita ed il corpo fisico. La nostra essenza più profonda non potrebbe usufruire di questo dono se non avessimo la vita ed il corpo fisico. Infatti le diverse religioni e correnti spirituali sottolineano che nel momento in cui perdiamo la vita terrena, finisce in quel momento tutta la possibilità di crescita interiore, e si fanno i conti con il livello di crescita raggiunto. Se questo è sufficiente, si passa ad una dimensione superiore.
Quindi, va bene allontanarci da ciò che non ci piace, ma è importante capire che le possibilità non saranno infinite, e se vogliamo davvero conoscere più profondamente le diverse parti del nostro essere, abbiamo bisogno di vivere le diverse esperienze, compresa la dimensione della sofferenza. Oggi ho avuto l’occasione di parlare con una donna che fa psicoterapia e che frequenta un gruppo buddista, e che assume da un po’ di tempo un antidepressivo. Erano alcuni mesi che non la vedevo e devo dire che l’ho trovata bene, di bell’aspetto, in forma fisica. Mi ha detto: “Sai cosa ho fatto in questi mesi? Ho smesso di prendere l’antidepressivo, perché volevo sentire me stessa, anche il mio dolore. Volevo viverlo senza attenuarlo, sentirlo fino in fondo. Volevo sentire tutto l’odio che provavo verso mia madre, e mio padre. Ho deciso di affrontarlo, e riconoscere il mio risentimento, per poterlo abbandonare, e vivere il mio perdono. Inaspettatamente in quei giorni mio padre è venuto a trovarmi, e l’ho accolto con grandi onori. Quando mi ha salutato mi ha porto timidamente la sua mano, sapendo che non desidero la sua vicinanza, gli ho chiesto invece di salutarmi con un bacio. Mi sono sentita liberata.”
Lei ha deciso di attraversare la porta stretta, che tutti dentro di noi abbiamo, perché tutti noi abbiamo sofferto. Ha cercato di riconoscere i diversi livelli del disagio interiore senza rifiutarli, ed è arrivata alla consapevolezza di sé. Nessuno di noi è stato risparmiato fin da quando è nato dalle ferite, fin dal momento della prova del parto, poi la pappa, il bagnetto, le coccole, che non è possibile che siano arrivati sempre quando realmente ne avevamo bisogno. Non è possibile che i nostri genitori ci abbiano accuditi così come desideravamo. Quindi il rischio è di conservare il rancore e di essere convinti di essere in credito. Sia nella mente che nel cuore possiamo conservare la convinzione e la memoria del male vissuto, e questo giustifica continuamente il nostro odio. E quando qualcuno di nuovo tocca con il suo modo le nostre ferite, si riattiva un sentimento che non può essere evitato. Non possiamo farci nulla, non possiamo nasconderci dietro un dito. Riuscire quindi ad arrivare ad individuare la forma e le dimensioni di questa dura noce che in qualche luogo rimane dentro di noi, per poterla finalmente spaccare, e liberare quindi la nostra sofferenza, è una cosa difficile. E’ più facile cercare di cambiare gli altri, anziché cambiare noi stessi, ma la verità è che sull’altro non abbiamo alcun potere, se non quello di favorire che esso stesso maturi una scelta. Ma anche verso noi stessi siamo ciechi, e quindi inconsapevoli dell’unico cammino realmente possibile e utile: il nostro personale cambiamento. E’ bene che facciamo i conti con il nostro senso di onnipotenza che ci fa credere di potere cambiare il mondo, senza che conosciamo in realtà noi stessi; sarebbe più opportuno camminare nel sentiero che ci posta verso il nostro cuore, ma prima di arrivarci dobbiamo incontrare la nostra miseria, ed allora di nuovo il rischio è di rivolgersi di nuovo all’esterno per cambiare gli altri, o per cercare di distruggerli. E’ un meccanismo egoistico. Non possiamo infatti nel cammino dentro noi stessi evitare di trovare il nostro limite, il nostro punto di rottura, e siccome non possiamo annullarlo, la differenza sta nel quanto lo condividiamo o nel quanto lo nascondiamo, nel modo in cui lo conosciamo e lo gestiamo nel rapporto con noi stessi e con gli altri.
Qualcuno pensa che con le persone più vicine, non si debba verificare di sentirsi al limite, perché ciò per loro significherebbe che il rapporto non va bene. In realtà è vero esattamente il contrario. La mancanza di apertura e sincerità può anche essere scelta con la giustificazione che non si vuole ferire l’altro, ma in realtà si evita di affrontare un cambiamento che fa paura, perché preferiamo avere il controllo che esplorare. Abbiamo bisogno di controllo sugli altri, sulle situazioni e sulla vita, e non riusciamo ad affidarci alla vita. Temiamo per esempio di scoprire che l’altro sia realmente diverso dalle nostre aspettative, e temiamo di non potere sopportare la delusione. O si teme che l’altro rimanga deluso da noi e ci abbandoni.
Quindi, un’altra motivazione alla fuga dai gruppi sociali è proprio il bisogno di controllo su noi stessi. Ma il cammino terreno a cui siamo chiamati è proprio il superamento di questa paura. Perché abbiamo bisogno di capire che in questa vita non siamo noi a controllare le cose, ma esiste un’entità superiore che ci avvolge, e che conduce, e noi siamo inseriti “a tempo” in questa realtà, che avrà una scadenza.
Vedere le cose o le persone cambiare e quindi sfuggire al nostro controllo, è frustrante per chi non si sente pronto a questo tipo di perdita, che presuppone l’affidarsi ed il fidarsi. In preda a questo tipo di paura possiamo con la nostra mente fare fantasie negative, ed immaginare di essere distrutti o danneggiati anziché amati: con questo timore non riusciamo ad affidarci e vediamo negativo il perdere il controllo sull’altro. Abbiamo bisogno invece di affidarci per fare l’esperienza dell’amore di Dio: essere concretamente assistiti in un momento di seria difficoltà, quando non possiamo più contare sulle nostre forze, ci converte all’amore di Dio ed alla divina provvidenza. Questa esperienza fa nascere in noi una consapevolezza nuova, che ci incoraggia nella ricerca.
C’è una cosa che sicuramente non possiamo evitare: la morte. Essa ci può fare paura solo se non abbiamo ancora fatto l’esperienza positiva dell’affidarci e di essere accolti da qualcosa che è sovrannaturale. Un’altra cosa che non possiamo evitare è la vita. Affidarsi alla vita ci consente di lasciare andare il nostro essere e di affrontare le prove. Siamo attesi quindi da quel momento in cui siamo chiamati a scegliere se affidarci. Possiamo rimandare questo momento, ma pensate, prima o poi perderemo il nostro corpo, e con esso le nostre convinzioni. Ed allora, ci deve essere qualcosa che ha un valore più profondo di noi stessi, ma questo valore ci appartiene e ci riguarda da vicino, tanto che possiamo riconoscerlo dentro di noi, come un tesoro che è sempre stato lì a portata di mano, in ogni momento ed in ogni luogo, ma che potremo rischiare di non trovare mai.

Esercizio: ti suggerisco di leggere ogni frase e di riflettere prime di leggere il punto successivo.

1) Immagina ora di focalizzare un obiettivo importante della tua vita, il più importante che riesci ad individuare.

2) Pensa ora di potere perseguire fino in fondo questo obiettivo, e rafforza la convinzione e la motivazione.

3) Pensa ora che l’impegno e lo sforzo per perseguire l’obiettivo siano rappresentati dall’arrampicata su un lungo palo. Immagina ora di iniziare l’arrampicata.

4) Visualizzati nell’arrampicata, mentre sali piano piano, ogni tanto fermandoti a guardare il panorama.

5) Pensa ora di essere arrivato alla fine del palo. Più avanti non puoi andare perché non c’è più palo. Renditi ora conto che non hai ancora raggiunto l’obiettivo della tua vita. Come ti senti? Cosa fai?

6) Probabilmente, i vissuti ed i pensieri che hai fatto in conseguenza della situazione immaginata, sono caratteristici della tua strategia di vita nelle condizioni di difficoltà.


Tornando al tema, c’è un momento nella vita in cui ti accorgi che non puoi controllare il tuo cammino con le tue sole forze. Se il tuo vissuto è che qualcuno ti accolga nella prova, sarà più facile abbandonarti all’aiuto della provvidenza. L’aspetto spirituale consiste nell’avere fede nell’amore di Dio.
Qualunque sia la storia della tua vita, esiste la stessa possibilità di compiere il passo di conversione. Non dipende né dalla cultura né dalle conoscenze religiose o psicologiche.
Dipende invece dalla propensione a sperimentarsi. Percepire che c’è un’armonia dell’universo anche se non ne abbiamo chiari tutti i contorni.
Perchè allora non possiamo vedere Dio come esseri umani? Proprio perché all’uomo è stato dato il libero arbitrio, e la libertà non verrà in nessun caso tolta. Ovvero permane la possibilità di fare delle scelte, e di cambiare le proprie scelte. L’uomo possiede la libertà di cambiare scelte che sembravano definitive, perché il suo punto di vista cambia. Una scelta quindi può essere definitiva quando è una scelta del cuore, e questo è possibile solo dopo una totale purificazione, che ci consente di scoprire dentro di noi la fonte della consapevolezza, per cui non ci aspettiamo più da qualcosa di esterno a noi stessi la gratificazione di qualcosa di migliore per noi, e siamo capaci di prenderci la responsabilità di noi stessi. Quando troviamo questa centralità del nostro essere, non abbiamo più bisogno di cambiare, neanche se le cose dovessero andare male. Siamo pronti a procedere verso Dio, mantenendo la nostra libertà di scelta, e non abbiamo niente che più ci interessa cambiare, perché percepiamo di essere orientati verso l’assoluto. Dio allora più compiere la grazia di mostrarsi a noi, mentre siamo totalmente convinti di essere. Siamo totalmente convinti di stare lì.

(Questo articolo è stato anche pubblicato nel n° 66 della rivista “Appunti di Viaggio”. Per maggiori informazioni: www.appuntidiviaggio.it - appunti@appuntidiviaggio.it)

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